mercoledì 2 dicembre 2009
venerdì 27 novembre 2009
l'influsso di Giove
nel pallido torpore di un pomeriggio gioviano
bevvi con fare molle le putride acque dell'Oste
dalla sua tazza spezzata erompevano sorrisi aguzzi
sollevai lo sguardo all'osceno labbro leporino fremente
e dissi a Jones di mandare fuori il Ragazzo;
con fare torbido aprii sventolando il mantello
e lo calai sul quel suo muso da Roditore tenendolo stretto mentre si dimenava
"ne ho assaggiato di acque-chete, ma questa è la più ferma di tutte
non mi irretirai con le tue lusinghe alcaloidi,
non temerò alcun male sognando giardini primevi
giacendo con il capo su pietre aguzze,
raggomitolato su una panchina alla fine della Fiera
non temerò la processione chiassosa degli Dei infuriati
Tu non hai potere su questo Pianeta!"
tuonai, pensai, mugolai, stridettie
affogai la malefica bestiola in una pignatta di cremoso grasso liquido
chiamai Jones, attacca il cocchio, qui abbiamo finito
era un pallido, torbido pomeriggio gioviano.
bevvi con fare molle le putride acque dell'Oste
dalla sua tazza spezzata erompevano sorrisi aguzzi
sollevai lo sguardo all'osceno labbro leporino fremente
e dissi a Jones di mandare fuori il Ragazzo;
con fare torbido aprii sventolando il mantello
e lo calai sul quel suo muso da Roditore tenendolo stretto mentre si dimenava
"ne ho assaggiato di acque-chete, ma questa è la più ferma di tutte
non mi irretirai con le tue lusinghe alcaloidi,
non temerò alcun male sognando giardini primevi
giacendo con il capo su pietre aguzze,
raggomitolato su una panchina alla fine della Fiera
non temerò la processione chiassosa degli Dei infuriati
Tu non hai potere su questo Pianeta!"
tuonai, pensai, mugolai, stridettie
affogai la malefica bestiola in una pignatta di cremoso grasso liquido
chiamai Jones, attacca il cocchio, qui abbiamo finito
era un pallido, torbido pomeriggio gioviano.
Salmi dall'Inghiottitoio
E allora mangia, Bestia!
ingolla il fango nero, la vile creta dei padroni*
la feccia che ti porgono con mani levigate
riempi il vuoto che ti colma fino a strabuzzare gli occhi,
ingrassare il piede caprino*
E allora mangia, Robota!
siediti e mastica raggi catodici
imita le loro movenze e balla stordito per far ridere la corte
il padrone ti coprirà di coriandoli verdi*
E allora mangia, Puttana!
bevi lo sperma ferino dell'homo erectus
porgi i tuoi sfinteri alle sonde petrolifere
attendi supina nel Labirinto il sibilo del cigno di tenebra tra statue di Leda gaudenti
E allora mangia, Golem!
ascolta in ginocchio e braccia conserte le nuove formule dentellate
cadi carponi ai piedi del Bagatto Neghentropico
disperdi lo Splendore e lasciati snervare da mani inguainate
E allora mangia, Matto!
bevi dalla tazza spezzata lo scherno dell'oste*
cammina veloce evitando le fetide intermittenze esistenziali dei normali
torna nel tuo piccolo regno, piccolo re!*
E allora mangia, Frocio!
inghiotti lacrime e imbastisci un sorriso rotto
i Goliath che ti vogliono impalato su una stecca da bigliardo
sono la fierezza di pavidi padri filistei e i ganzi segreti delle loro stesse madri
E allora mangia, Larva!
nutriti dei pallidi viticci carnei che pendono scossi da risa nelle public house
vaga nella penombra scansando luci chiare e tenebre interiori
attirato in danze di spettri cromatici illusori
E alllora mangia, Spastico!
addenta il pane secco di madri dagli occhi vacui e i capelli di calce,*
i tuoi occhi umidi, le tue erezioni asciutte, il tuo limpido tremito sono una bestemmia vibrante
l'androide pusillanime trarrà sollievo dalla statuaria ombra spezzata del tuo martirio*
E allora mangia, Galeotto!
sostentati col ferro aguzzo degli inquisitori, captivus diabolii*
affresca il cielsoffitto color blu cemento, ovunque tu sia che il fiato sia breve, il battito incerto*
figlio di Caino, gli arcangeli vegliano su di te, annunceranno il tuo stigma ai bottegai e ai padroni
verrai additato e scacciato, non troverai altro pane che il ferro aguzzo, gli arcangeli vegliano su di te*
E allora mangia, Fanciullo!
suggi il colostro paglierino affinchè non sia troppo tardi dopo,
quando la Madre avrà espulso dalle cervella placente di bisogni appagati*
allora verrai dimenticato in qualche stanza dell'Hotel Paradiso, *
e la Madre sbadata cullerà in camere di tenebra un tuo alter mummificato*
ingolla il fango nero, la vile creta dei padroni*
la feccia che ti porgono con mani levigate
riempi il vuoto che ti colma fino a strabuzzare gli occhi,
ingrassare il piede caprino*
E allora mangia, Robota!
siediti e mastica raggi catodici
imita le loro movenze e balla stordito per far ridere la corte
il padrone ti coprirà di coriandoli verdi*
E allora mangia, Puttana!
bevi lo sperma ferino dell'homo erectus
porgi i tuoi sfinteri alle sonde petrolifere
attendi supina nel Labirinto il sibilo del cigno di tenebra tra statue di Leda gaudenti
E allora mangia, Golem!
ascolta in ginocchio e braccia conserte le nuove formule dentellate
cadi carponi ai piedi del Bagatto Neghentropico
disperdi lo Splendore e lasciati snervare da mani inguainate
E allora mangia, Matto!
bevi dalla tazza spezzata lo scherno dell'oste*
cammina veloce evitando le fetide intermittenze esistenziali dei normali
torna nel tuo piccolo regno, piccolo re!*
E allora mangia, Frocio!
inghiotti lacrime e imbastisci un sorriso rotto
i Goliath che ti vogliono impalato su una stecca da bigliardo
sono la fierezza di pavidi padri filistei e i ganzi segreti delle loro stesse madri
E allora mangia, Larva!
nutriti dei pallidi viticci carnei che pendono scossi da risa nelle public house
vaga nella penombra scansando luci chiare e tenebre interiori
attirato in danze di spettri cromatici illusori
E alllora mangia, Spastico!
addenta il pane secco di madri dagli occhi vacui e i capelli di calce,*
i tuoi occhi umidi, le tue erezioni asciutte, il tuo limpido tremito sono una bestemmia vibrante
l'androide pusillanime trarrà sollievo dalla statuaria ombra spezzata del tuo martirio*
E allora mangia, Galeotto!
sostentati col ferro aguzzo degli inquisitori, captivus diabolii*
affresca il cielsoffitto color blu cemento, ovunque tu sia che il fiato sia breve, il battito incerto*
figlio di Caino, gli arcangeli vegliano su di te, annunceranno il tuo stigma ai bottegai e ai padroni
verrai additato e scacciato, non troverai altro pane che il ferro aguzzo, gli arcangeli vegliano su di te*
E allora mangia, Fanciullo!
suggi il colostro paglierino affinchè non sia troppo tardi dopo,
quando la Madre avrà espulso dalle cervella placente di bisogni appagati*
allora verrai dimenticato in qualche stanza dell'Hotel Paradiso, *
e la Madre sbadata cullerà in camere di tenebra un tuo alter mummificato*
sabato 31 ottobre 2009
Streaming Of Aesthetics Paraphernalia (SOAP opera)
Samael parlò a Iob: "Tu cosa Iob? di cosa? di che hai da lamentarti? perchè maceri le tue ferite con il sale altrui? Non vedi dove sei? guardati attorno: tutta questa immonda carogna fossile in parte pietrosa in parte brulicante di vita accanita, tutto il masticabile immenso banchetto del Behemot, il mio grande Toro Galattico scannato alla fine del tempo, alla fine di OGNI TEMPO, come questo ultimo parossistico istante, e poi.. tutto lo splendore degli Angeli che si trapassano con spade di fuoco e la Bellezza crogiola fusa in riflessi soavi di giochi di morte e luce e sogno, tutti i corpi, tutta l'immensità di CORPI, volumi fuori scala di corpi fatti dell'oro che riluce, dell'argento che tintinna, del bronzeo desiderio, e la tua miseria Job, il tuo dolore odierno e l'occhio infine, l'occhio in rovina tuo che sorvola la fine della Festa, La mattanza di fine Vendemmia, l'inizio dell'incendio finale perchè nuovi divini banchetti abbian a prender luogo, il tuo occhio Job, che verifica la Maestà, l'insondabile magnificenza, il trionfale Fato di quel canto d'ordine superno fatto di Seme e Sangue intrecciati con radici e nutriti con arterie ribollenti che sono la mia essenza, che sono io, con te, nel dolore, adesso."
too much love
l'uomo di calce torce e ritorce minuscoli pezzetti di filtro "così la merda non passa", passa la merda buona, quella che ti fa sognare, che fa fiorire i bacelloni sovietici di andromeda e li fa sbocciare al centro delle cervella, la buona merda concima bollenti fiori estatici, l'uomo di calce faceva e sfaceva, disfaceva polveri in oro liquido e si mi ci faceva tutto assieme il giromondotondo girava girava e tutti caddero su un giaciglio di giunchi nel Nilo Padre immenso come un prato di infanzie acquatiche, ma doveva ancora accadere? L'uomo di calce legava e rilegava il laccio emostatico religiosamente, non trascurando il rito della presa d'Atto Fattiva e Iniettiva, il mio Pontifex con il mondo d'Antan batteva ritmicamente un tamburo di pelle fervida evocando la mia Vena Interiore, con dita di ragno l'uomo di calce palpava tellurico la mia creta maledetta, con fare lascivo auscultava i motivi interiori del mio Essere umano in cerca di un accesso, un accenno, un permesso all'avito sistema canalizio dei sogni liquidi, nella penombra romantica pregna di svendite totali brillava un faretto sovrapotenziato le cui onde segugio stanavano eccitate la sottile linea rossa della preda costituita dalla mia identità di copertura, o era quella vera? Il soverchio ceffo canuto si squarciò in ghigno canino "trovata!": la Vena Cava rimbombante ctonii timbrici sospiri, la Pietra della Follia rex cerebrii in fuga nelle periferie, una intera legione dimenticata di antichi demoni sumeri... L'uomo di calce mi teneva la mano mentre iniettava con calcolato pigro struggimento eroina soave in soluzione acquosa quasi mi stesse chiedendo di sposarlo al cospetto di una variabile cosmica sacerdotale votata ad unire in unica carne indissolubilmente bisogni titanici e debolezze umane. Unico testimone e suggello la Grazia del Padre che scese a bruciarmi la lingua con tizzoni d'olocausto perchè potessi lodarlo mentre mi elevavo dalla Lordura cadendo a perdifiato attraverso i cieli, verso le altezze siderali delle nozze alchemiche in Amplesso Solenne.
venerdì 30 ottobre 2009
nost-algia
come hai potuto spegnerti cosi stagione bella?
correndo a perdifiato su un Pegaso raggiungo l'ultima eco
percorrendo a ritroso stanze colme d'oro degli sciocchi
un antico e vago dolore si articola risalendo rivi asciutti
come disegnando le diramazioni di una pianta secca
te lo ricordi Pegaso, quando ridevano i bambini?
come frullavano le loro piccole gambe all'ombra magnifica di immensi torrioni?
e le alcove dove si raccoglievano suoni e amanti da tutta la Casa
e sorella Speranza irradiava una luce antica e ambrata nella sala del patriarca
che si arrotololava riccioli canuti attorno alle dita tozze
sospirando trame d'incanto benedicenti per tutto il casato.
Vedi Pegaso la gloria antica intrappolata nella rovina?
la pietra della saggezza nascosta dentro la carne spezzata della follia?
Come hai potuto finire nella polvere Torre di Antan?
come possono i Satiri suonare zampogne d'uomo tra le rovine
e le Larve sollevarsi dal tanfo asciutto di polvere d'ossa?
Come hai potuto vagare confusa nell'alito freddo di Aquilo, stagione bella?
correndo a perdifiato su un Pegaso raggiungo l'ultima eco
percorrendo a ritroso stanze colme d'oro degli sciocchi
un antico e vago dolore si articola risalendo rivi asciutti
come disegnando le diramazioni di una pianta secca
te lo ricordi Pegaso, quando ridevano i bambini?
come frullavano le loro piccole gambe all'ombra magnifica di immensi torrioni?
e le alcove dove si raccoglievano suoni e amanti da tutta la Casa
e sorella Speranza irradiava una luce antica e ambrata nella sala del patriarca
che si arrotololava riccioli canuti attorno alle dita tozze
sospirando trame d'incanto benedicenti per tutto il casato.
Vedi Pegaso la gloria antica intrappolata nella rovina?
la pietra della saggezza nascosta dentro la carne spezzata della follia?
Come hai potuto finire nella polvere Torre di Antan?
come possono i Satiri suonare zampogne d'uomo tra le rovine
e le Larve sollevarsi dal tanfo asciutto di polvere d'ossa?
Come hai potuto vagare confusa nell'alito freddo di Aquilo, stagione bella?
mercoledì 28 ottobre 2009
c'era una volta
un nuovo vuoto da riempire con parole vane. non ora. non oggi. questo è solo un inizio, come tanti, con poco senso, un gomitolo di sagome sottili che fioriscono dall'increato senza ragione, e in effetti non ho espresso nulla, anzi ho espresso il nulla o poco piu, comunque sia, alla prossima.
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